Numero 8 Maggio 2004

Copertina:
illustrazione di Sandro Visca

 

Viaggio intorno al Pecorino d'Abruzzo
di Tommaso Migale

Il Pecorino d'Abruzzo, il più diffuso tra i prodotti tipici della regione, in attesa di un riconoscimento nazionale più ampio, offre i suoi mille sapori di pascoli e latte in una gamma di interpretazioni esaltanti

Quanti sono i pecorini che si producono in Abruzzo? Impossibile rispondere, ma certamente una vasta schiera e da tempo immemorabile. Dal Gran Sasso alla Maiella, dalla Valle del Sangro alle colline del Teramano, la vocazione pastorale della regione ha dato luogo a una civiltà casearia ricca e importante che, frazionata com'è, ancora non ha saputo tuttavia imporsi a livello nazionale. Libri, atlanti e ricerche sul formaggi italici, che pure sono stati pubblicati numerosi negli ultimi anni, non sono riusciti a dipanare l'intricata matassa: a parte alcuni classici come il particolarissimo pecorino di Farindola, ognuno ne cita diversi all'interno della denominazione Pecorino d'Abruzzo, che vuol dire molto in fatto di tipicità ma che certo non basta a farli riconoscere.

Resistere, resistere, resistere

Se la situazione è dunque estremamente variegata e avrebbe bisogno di una maggiore chiarezza d'intervento da parte delle autorità preposte, c'è d'altra parte in Abruzzo, proprio per la mancanza di una casearia industriale governata dalle leggi delle grandi quantità, dei prezzi competitivi, della costanza produttiva, oltre che dalla sicurezza sanitaria, una miniera di tesori artigianali ancora intatti. O quasi. Che vanno valorizzati, meglio conosciuti e protetti per salvare un patrimonio inestimabile. Come consumatori, "bisogna resistere alle lusinghe dei banchi refrigerati dei supermercati che troppo spesso offrono formaggi inodori e insapori", (Piero Sardo, Slow Food), fatti a macchina con latte pastorizzato. Come produttori, è necessario respingere la tentazione di adattare le proprie caratteristiche alle richieste più deteriori del mercato e dei facili compromessi per abbassare i costi, come quello di mescolare al latte ovino quello vaccino proveniente dall'estero. Certo, l'arazzo caseario è tutt'altro che facile da regolarizzare senza perdere i valori della tradizione. Ma intanto, guardiamo ad alcuni dei migliori campioni della nostra terra. Piccole produzioni artigianali, nessuna standardizzazione e mille sapori da scoprire.

Alla ricerca delle diversità

E' la diversità il massimo pregio. Ci sono pecorini eccellenti in tante e diverse zone, ognuno col suo carattere, con la sua personalità. Anche se la regione propone anche ottime scamorze, sono i pecorini a prevalere di gran lunga nello scenario d'insieme. Il pecorino è "il" formaggio per eccellenza, anzi il cacio, per dirla come si dice qui. E questa è una prova importante dell'antichità del suo uso: il termine formaticum, da cui formaggio, ha un'origine medioevale ed è più utilizzato al Nord, mentre cacio, che viene dal latino caseus invece viene usato dalla Toscana in giù e fu usato fin da prima dell'anno mille. Appartiene alla cartegoria dei pecorini, cioè ai formaggi da latte ovino, il famoso Caciofiore aquilano: è una caciotta di latte intero a pasta molle, che si produce in gennaio e febbraio e si consuma fresca o semifresca. Secondo la tradizione, nella preparazione si aggiunge una punta di zafferano e si caglia col cardo selvatico: ne deriva un prodotto dal tipico color giallino e dal sapore personalissimo, molto gradevole. Si apre poi la grande famiglia del Pecorino d'Abruzzo, tutelata dalla normativa vigente sui prodotti tipici e tradizionali. Qui le differenze sono infinite: nelle varie zone e nei vari caseifici, procedimenti e sapori cambiano continuamente perché sono diversi il clima, l'esposizione dei pascoli, le erbe di cui le pecore si nutrono, la stagione in cui il cacio viene prodotto, i cagli e i metodi di lavorazione che vengono seguiti. Solo la forma è sempre cilindrica e la pasta compatta, in genere bianca, con poche occhiature.

Campioni da cercare

Alcuni di questi hanno acquisito allori anche fuori dell'Abruzzo, così il Pecorino di Atri, detto anche "con la lacrima" e così quello di Pizzoli, quello dei"pascoli alti" di Pietracamela, quello di Capracotta. Importanti sono le produzioni di Scerni, Carpineto, Mosciano, Campotosto. Produzione eccellente, anche se molto ristretta, quella di Torricella Sicura, nel territorio che digrada dai Monti della Laga sino alle colline circostanti il capoluogo. E', questo, un pecorino dal colore giallo paglierino e anche più intenso, con odore tipico, intenso, strettamente correlato ai pascoli di cui ne riproduce la fragranza; il sapore, caratteristico, assume il piccante con la stagionatura. Purtroppo poche sono le "pizze dicacio" che arrivano alla commercializzazione , ma questo è un fatto che si ripete molto spesso da queste parti. Un altro campione, nell'Aquilano, è quello di Scanno,che si fa riconoscere per la tipica crosta nera e il giallo intenso della pasta: al sapore è inizialmente dolce mentre nel finale offre una piacevole vena di bruciato, molto apprezzata dai buongustai locali. D'abitudine, si mangia con la frutta. Il più curioso e pregiato, come si accennava, è quello di Farindola, che si produce presso alcune comunità montane sul versante sinistro del Gran Sasso, non lontano da Penne e Loreto Aprutino: è davvero particolare per il sapore forte e caratteristico dovuto al fatto che nasce con un caglio ricavato dallo stomaco del maiale tagliato a listerelle e quindi "imbottigliato" con vino rosso, sale e pepe. Durante la maturazione le forme, come avviene spesso nella lavorazione dei pecorini d'Abruzzo, vengono unte con olio extravergine: si presentano perciò con la crosta liscia, cerosa, dal colore che svaria dal marrone al rosso. Purtroppo, si sta rarefacendo. Tradizionalmente a base di latte ovino, ma da quache tempo purtroppo anche con utilizzo di latte vaccino, che cambia l'aroma, si produce l' Incanestrato di Castel del Monte, delizioso formaggio fresco ottenuto pressando il caglio in canestri di giunco che lasciano sulla superficie l'impronta del recipiente. Secondo un costume antico, il pecorino fresco spesso viene conservato sott'olio. Così si rallenta il processo di maturazione e si può consumarlo a tavola anche dopo qualche mese. Tutta la produzione è, comunque, tutelata dalla normativa vigente sui prodotti tipici e tradizionali e il "Pecorino d'Abruzzo" è inserito nello specifico Atlante Regionale dei prodotti tipici e tradizionali.

Consigli per servirvi

Anche il grado di stagionatura è una variabile importante: alcuni pecorini sono ideali da consumare piuttosto freschi, altri migliorano con la maturazione. Comunque un pecorino di due anni è considerato l'optimum dai buongustai In tavola, si serve con il pane e al massimo con un cucchiaino di miele, ma se si vogliono cogliere appieno le sfumature delle erbe e dei prati, l'ideale è un pecorino giovane, ancora leggermente acidulo. Poi la pasta si fa più dura e compatta, il sapore più pieno e corposo, e anche in questa fase offre una gamma esaltante di stimoli all'olfatto e al palato. Naturalmente andrà accompagnato e sostenuto dal vino: e la ricerca è aperta per trovare quello più adatto. La gamma dei vini del territori - Cersauolo d'Abruzzo, Montepulciano d'Abruzzo,Montepulciano d'Abruzzo Colline Teramane, Trebbiano d'Abruzzo, Controguerra - è la più vocata, per naturale disposizione, ma si possono sperimentare affinità elettive extra regione con risultati magnifici. E vale sempre la regola che su un pecorino piccante, oltre ai grandi rossi, può abbinarsi un vino dolce ad alta gradazione che nel contrasto offre sensazioni memorabili. In cucina, molte le ricette tradizionali che prevedono il cacio come ingrediente d'obbligo, prime fra tutte le "scrippelle 'mbusse". Eccolo arricchire le paste asciutte, i ripieni,la pizza rustica, il capretto "a cacio e ova" e, una specialità tutta da provare, il "formaggio fritto". Il cacio nostrano è comunque una presenza fondamentale dell'alimentazione, tradizionale e non solo: prodotto sostanzioso, appagante e soprattutto pronto, è davvero un re del gusto, anche oggi .