Teramo e le "MAZZARELLE" a cura di Sergio A.

In uno spicchio di terra abruzzese che è la sua provincia, Teramo occupa una posizione di naturale dominanza, fulcro, baricentro delle terre che vanno dalla più alta vetta dell'Appennino al mare. Appoggiata su un gioco di colline, Teramo è infatti equidistante tra le nevi del Gran Sasso e le sabbie dell'Adriatico, felice di quei 265 metri sul livello del mare che le permettono di sentire l'odore della salsedine e quello del sottobosco, il sapore del pesce in guazzetto e quello delle carni alla brace. Una posizione geografica che non poteva non generare una particolare cultura che fonde insieme la fiera rigidezza delle rocce e la grande ospitalità del mare, in un felice connubio. Città di antichissime origini, l'antica "Pretut", che significa "luogo isolato e circondato dalle acque" (nome coniato dai fenici che raggiunsero le terre che oggi ospitano Teramo fondandovi un grande emporio commerciale), fu capitale di quelle terre del Pretuzio prima e di Aprutium poi, dalle quali la stessa regione Abruzzo avrebbe ereditato il nome. Tra i tanti modi di visitare la città, quello del sapore è solo apparentemente il più semplice, il più facile. Infatti mangiare a Teramo significa partire alla scoperta di una cultura gastronomica assolutamente unica, nella quale ogni piatto cela una sua storia, una tradizione, un suo passato. Sulla tavola dei teramani ogni sapore è figlio della storia di questa città, non esiste piatto che non richieda impegno, e spesso sacrificio, così come non esiste teramano che non abbia una sua personale lettura di ogni piatto, una sua ricetta familiare, un segreto da non svelare. Tantissimi sono i piatti della tradizione teramana che una volta venivano preparati nelle numerose locande e cantine presenti in città. Basti pensare allo stufatino di castrato e di trippa, all'agnello arrosto spezzato, ai fagioli con le cotiche, alla "fracchiata", una specie di polenta preparata con farina di farro e cicerchia talvolta mescolata a quella di ceci, pestata nei grossi mortai di pietra di un tempo. Come pure ai "papicci" in bianco con la pancetta o il guanciale di maiale, alle "recchie di prete", al "pizzirullo", una focaccia originariamente impastata con farina di farro, ed in seguito di granturco, cotta sotto la brace coperta dal coppo oppure dal testo di ferro. Poi vanno ovviamente ricordati i piatti di carne di maiale. Difatti, non c'era trattoria degna di questo nome che, al tempo dell'uccisione del maiale, non servisse un appetitoso e fumante piatto di "ndocca 'ndocca", una tipica pietanza (e minestra insieme), e quell'altra rarissima specialita' che sono le "annuije". Si tratta di una prelibatezza con un nome di derivazione francese, l'andouilles e consiste in un involtino di trippa di maiale che a Parigi veniva venduta davanti alle gargottes e le osterie dei quartieri popolari. I maccheroni alla chitarra, un piatto caratteristico di tutto l'Abruzzo, le cui varianti "locali" (soprattutto nella preparazione del sugo) sono significative. Tipici di queste terre sono la galantina (la gallina o la tacchinella di media grandezza ripiene), il tacchino alla canzanese, il fritto misto con tenere costolette di agnello e crocchettine di crema e di patate, l'arrosto di tacchino, pollo e piccione, il vitello guarnito, la pizza rustica e la porchetta, il "timballo di sfoglia", o di "scrippelle", un pasticcio ricco di ogni ben di Dio, le ancora piu' celebri "scrippelle 'mbusse", al brodo di gallina o al sugo. Per non parlare delle "virtu'", questo piatto e' senza dubbio il piu' celebre della cucina teramana, anche per il suo carattere rituale che nasce dal legame profondo con la terra, con la fine della cattiva stagione e l'arrivo della primavera. Non c'e' teramano che non sia ghiotto dei suoi piatti tradizionali, che costituiscono la nota caratteristica della citta' pretuziana. E, dulcis in fundo, i dolci sempre caratteristici e diversi, per ogni occasione, per ogni festa o ricorrenza: pepatelli, calgionetti, croccanti, neole, bocconotti, torroni di fichi e di mandorle, sfogliatelle. Inoltre la pizza dolce e il vino cotto a chiusura di pranzo erano di prammatica in ogni menu' ufficiale. I teramani non hanno mai perduto l'abitudine di mangiar bene ed abbondantemente. Non c'e' infatti teramano, degno di questo nome, che si fermi alla prima portata e che non sia capace di dimostrare all'occorrenza quella "conoscenza ragionata di tutto cio' che ha rapporto con la funzione di nutrire l'uomo compiacendolo", tanto invocata dal supremo pontefice della gastronomia che fu Brillat-Savarin.


La Ricetta del Mese a cura di Sergio A.

Le MAZZARELLE alla Teramana

Sembrano un secondo e, di certo, la prima impressione sarà quella di considerarle una portata successiva al timballo o ai maccheroni alla chitarra. Invece, le mazzarelle sono un primo, anzi: il primo obbligatorio del pranzo pasquale, una sorta di tradizionale ouverture dedicata all'agnello ed evocatrice di un indimenticato e indimenticabile passato di quotidianità contadina. Piatto semplice, all'apparenza, coratella di agnello avvolta in foglie di indivia legate con budelline dello stesso agnello, ma soggetto all'irrisolto dibattito tra due scuole di pensiero: quella della mazzarella semplice, cotta in un soffritto che ne esalti il sapore, e quella della mazzarella in umido, lasciata cuocere in un sughetto che si impreziosisce degli umori delle carni d'agnello.

Dosi per 4 persone: 1 coratella d'agnello (cuore, fegato e budella), un bicchiere e mezzo di acqua e vino, 1 mazzetto di maggiorana, agli e cipolle freschi, alcune foglie di lattuga, prezzemolo e peperoncino, farina ed aceto quanto basta.

Preparazione: Aprire le budella nel senso della loro lunghezza, lavarle e sciacquarle accuratamente. Quando le budella saranno diventate di color chiaro e ben pulite, sciacquare con acqua ed aceto. Tagliare a listelli la coratella, sciacquarla e metterla a scolare, dopo averla salata, insieme con le budella. Prendere una foglia di lattuga e porvi sopra, facendone un mazzetto, 3-4 listelli di coratella, cui bisogna aggiungere un po' di cipolla, di prezzemolo e d'aglio. Legare il mazzetto con le budella e via via che le mazzarelle saranno confezionate metterle a scolare e poi cuocere solo in olio. Quando le mazzarelle cominceranno a friggere (ed olio e acqua saranno stati assorbiti), aggiungere mezzo bicchiere d'acqua e vino, fare assorbire e versare ancora una volta la stessa quantità di acqua e vino. Ripetere nuovamente l'operazione. Se si vuole si può aggiungere qualche pomodoro a pezzetti. N.B. Per pulire bene le budella, infarinarle e strizzarle, ripetendo l'operazione più volte.

 

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